valore riproduttivo

marzo 16, 2010 § 22 commenti

Stamattina mi sono trovata a camminare su un marciapiede stretto, troppo stretto per tenere due persone ma a filo strada, cioè senza gradino. Mi sono trovata davanti una donna con il passeggino e ho aspettato a spostarmi per vedere cosa faceva lei. Alla fine mi sono spostata io.

So che sembra esagerato ma ho immediatamente pensato che i miei diritti, come i diritti di molti single e di molte donne single si misurano in base al mio valore e capacità riproduttive. È una dominante culturale italiana che si è riversata poi in un modello di welfare familistico, corporatista e cattolico.

E quindi non importa se io porto a spasso, invece che un bambino, dei saperi chiusi in un computer e in una borsa di libri. Sono io quella che deve spostarsi dal marciapiede e mettersi in strada. E però gli effetti della protezione della famiglia sopra l’individuo si vedono chiaramente in Italia. Ecco, in altri paesi Europei non è così. E poi ci lamentiamo della fuga dei cervelli e della scarsa natalità.

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§ 22 risposte a valore riproduttivo

  • Gary Coopo ha detto:

    questo post forse, non so, chissà, in un possibile futuro, ti ritornerà come un boomerang sulla testa

    • elena ha detto:

      È troppo tardi per me per fare figli. Non porterò mai un passeggino. Avrò sempre rispetto per chi, per motivi diversi, non lo porta e anche per chi lo porta. Non credo che portare un passeggino assegni più diritti individuali.

  • Gary Coopo ha detto:

    credo che il valore riproduttivo sia un valore che piaccia o meno e che probabilmente sia Il valore, sopratutto da un punto di vista sociale, senza per questo sminuire chi non lo esercita

    • elena ha detto:

      Non è così in tutti i paesi europei. È un valore relativo e costruito. Per favore, per favore, per favore: non rendiamo assoluto ciò che non lo è. Il mio valore individuale e i miei diritti dovrebbero essere scissi dalla mia scelta riproduttiva. Se no siamo allo sfacelo. Anzi, aggiungiamo un pezzo allo sfacelo esistente.

      • Gary Coopo ha detto:

        no, non mi fraintendere, secondo me non deve esserlo da un punto di vista personale, intendo non deve essere un valore assoluto, mi fa orrore sentire come alcune donne dicono “mio figlio” come se impugnassero un’arma. ma da un punto di vista sociale credo che debba esserlo, e non possa essere diversamente

        • elena ha detto:

          Io sono partita da questa stupidissima esperienza “personale” per allargarmi ad una riflessione più ampia sulle politiche sociali che sono quelle che mi interessano di più: e cioè che in italia, i single, se non sono pensionati o minorenni, non se li caga nessuno. Il welfare non esiste per loro. Se invece fai un figlio, si aprono, seppur poco, anzi pochissimo, le porte dell’assistenza sociale. E tutte le politiche di assistenza, effettive e promesse in campagne elettorali, ruotano sempre intorno alla famiglia (riprodotta) e mai intorno al singolo. A me, che piaccia o non piaccia, non pare che questo abbia dato, in Italia, i risultati attesi: fuga di una generazione e scarsa natalità. Li vogliamo mettere in banale correlazione statistica queste due dimensioni o no? Sono poi disposta ad uscire dalla banalità e a complicare il discorso. Di welfare comparato posso parlare per giorni….

  • Gary Coopo ha detto:

    non voglio insistere anche perchè non sono un esperto di welfare comparato ma mi sembra che il risultato della scarsa natalità confermi che in Italia non esista (se non a livello propagandistico) di fatto una politica che la favorisca la natalità (e qui te lo dico per esperienza personale), come invece avviene in francia, e naturalmente ancor meno esista una politica in favore delle famiglie o dei singoli senza figli, tutto qui.

    • elena ha detto:

      forse il succo del discorso è che in italia c’è la tendenza a mettere i due “gruppi sociali”, single e famiglie, uno contro l’altro (senza considerare che poi si passa da uno status ad un altro molto facilmente). Si fa lo stesso anche per le tipologie di impiego, creando un falso senso di contrapposizione. Ma, ripeto, questo dovuto ad una caratteristica italiana. Non è un problema irrisolvibile e non si risolve a suon di buoni propositi, come hai giustamente sottolineato

  • Mistro ha detto:

    Potrei scrivere un post molto simile partendo dall’incrocio con un disabile in sedia rotelle (o un cieco). Non sono abbastanza disabile da avere dei diritti ma non sono neanche abbastanza abile da fare una vita “normale”.

    Sono in un limbo di niente di niente.

    E non parlo tanto per me che tutto sommato ho trovato un supporto famigliare ed affettivo che mi ha consentito di cavarmela, parlo per tutti quelli che non hanno avuto le mie stesse opportunità.

    • elena ha detto:

      E infatti l’asse abilità / disabilità (comunque definite) è un altro su cui si creano conflitti. Oddio, non credo che fare o non fare figli sia un’abilità o una disabilità, non intendo questo. Intendo dire che là dove si esercita una politica di welfare residualista, il welfare aiuta solo chi ne ha bisogno (definito come???) e tutti gli altri se la devono cavare con la famiglia o con il mercato del lavoro e l’assistenza privata. Là dove si esercita un welfare universalista, come il modello scandinavo, ci sono diritti di base (casa, mobilità, educazione, lavoro perché il lavoro è un diritto!!) garantiti a tutti sulla sola base dell’essere in vita. Nessuna differenza, nessuna riga che divide noi e loro, voi e noi, uomini e donne, banalmente abili da diversamente abili. Io questo volevo dire.

  • L’esempio che fai suppongo sia volutamente iperbolico. Se in strada una macchina lesiona il tuo netbook ci dispiacciamo, ma se arrota il piccolo, si passa a qualcosa di socialmente più riprovevole, credo ne converrai.
    Ora, tra le varie categorie socialmente da proteggere, il single semplicemente non esiste perché è protetto dalle comuni leggi o convenzioni sui diritti umani. Se invece il single è genitore, disabile, anziano, disoccupato, discriminato e via discorrendo ricade sotto la protezione delle leggi speciali.
    Il single puro che non ha problemi sociali e carichi di famiglia, ha tutto il tempo e le energie a disposizione per essere artefice del proprio destino. L’essere soli non è una condizione meritevole di particolare tutela, perché il single è il più forte soggetto della società moderna.
    Per tornare alla maternità, la sua tutela è frutto di battaglie importanti, le stesse per le quali si bruciavano i reggiseni in piazza e di cui spesso parli, e la tutela attiene alla continuità della specie. La continuità della specie è un dato prioritario, credo ne converrai.
    Allora, la prossima volta che incroci un passeggino, continua a cedergli il passo: è la cosa giusta.

    • elena ha detto:

      io ho detto altro, in tutti i commenti.
      le leggi sono fatte per consolidare un modello di società. Ce ne sono altri, migliori.
      E soprattutto, tu ne fai una questione di o / o (chi può cavarsela da solo, o con mamma e papà, si tolga dalla lista di chi ha diritto ad una qualche assistenza).
      Io ne faccio una questione di e / e. Si chiama welfare inclusivo. Quello che avrebbe fatto dei marciapiedi più grandi.

  • Elena ha detto:

    è come quando vai in vacanza e alla coppietta coi figli danno lo sconto. oè, io son single o con l’amica arimorchio ma non valgo mivca meno di chi ha già partorito

    • elena ha detto:

      ma il famoso assegno della brambilla per mandare le famiglie in vacanza, anche quello, non credo si applichi ai single o alle coppie non sposate. non so, non ricordo.
      Vade retro single, a morire d’afa in tangenziale, come i cani!

  • Lucky the troll ha detto:

    Elena
    e se tutto cio’ fosse semplicemente perche’ 1+1=2?
    Cioe’ se fai un figlio c’e’ una bocca in piu’ al mondo che deve essere sfamata, di cui lo stato sociale deve tenere conto.
    Che poi in Italia che per colpa della chiesa cattolica allora appena fai un figlio di si aprono gli universi del welfare mentre all’estero no… mmm… mi servirebbero dei dati per riflettere perche’ cosi’ su due piedi e per sentito dire mi parrebbe proprio che sia il contrario.
    Ma vabbe’ forse manco da troppo.
    E comunque l’italia non e’ un paese cattolico, e’ un paese ipocrita. Che e’ diverso (si! e’ diverso!)
    Ciao

    • Elena ha detto:

      non si tratta solo della differenza tra sistemi di welfare orientati alla famiglia o all’individuo, ma piuttosto modelli di welfare che escludono e dividono (e la scusa è che non ci sono abbastanza soldi per tutti) e modelli di welfare che includono e considerano il welfare qualcosa di diverso dai sussidi se proprio non ce la fai e considerano anche l’offerta di servizi pubblici non seconda a quella privata. Lo dice Loic Wacquant molto bene quando ripete che la crescita della classe media in UK è anche fondata sul “marketing” dell’educazione / sanità privata come migliore di quella pubblica. Non lo è e le condizioni per cui lo è sono le condizioni di ritirata del pubblico, giustificata con la carenza di fondi ma l’assenza di fondi non è un problema economico ma un progetto politico. Si chiama neoliberismo.

  • dilaudid ha detto:

    è una minaccia quella di parlare di welfare comparato per giorni?

  • […] Ai marciapiedi troppo stretti è da un po’ che ci penso… Difficile spiegarlo meglio di quanto sia riuscita lei. […]

  • vipero ha detto:

    Elena, rispondo tardi avendoti letta di rimbalzo.
    Da mammo di due splendidi bimbi, posso dirti che il walfare italiano nei confronti di una famiglia o di un single fa pena allo stesso modo. anzi…

    Avere figli è un disastro e sai perchè? Se non hai nonne, zii, cugini ai quali affidarli, costano una fortuna.
    Io e mia moglie, entrambi emigrati nell’operoso e funzionante nord, siamo soli con questi due marmocchi (stravoluti, intendiamoci).
    Lavoriamo entrambi, anche se lei ha dovuto accettare il compromesso del part-time.
    Fino ai tre anni, asilo nido comunale: quasi 500€ al mese
    Scuola materna (statale) : 7€ al giorno di buoni pasto, più contributi liberi per penne, colori, piatti e bicchieri di plastica etc…
    Quando la scuola materna è chiusa (tipo Pasqua, Natale, l’estate etc…) euri a centinaia tra baby sitters, centri estivi etc…
    E quando si ammalano… tiriamo a sorte su chi di noi due rimane a casa, con i rispettivi datori di lavoro che mugugnano. Altrimenti altre centinaia di euri alle ragazze.

    In cambio, in busta paga, recupero ben 38€ di assegni familiari.
    fine del welfare.

    La risposta a tutto questo, quindi, è: l’hai voluti, tietteli. Anzi: ti obblighiamo ad averli, nun t’azzardà affà o pensà diversamente, dopo tietteli.

    Però quando ridono, o mi abbracciano stretto urlicchiando “papino!”…
    passa tutto.

    • elena ha detto:

      Vipero,
      io lo so di striscio che avere figli è un disastro perché sono l’unica di tre sorelle a non averne. Li vedo gli sforzi e la fatica e appena manca il lavoro è un disastro.
      Io adesso non ricordo se l’ho specificato nelle cose che ho detto non so quanto tempo fa su questo blog, ma siccome è una delle poche cose in cui credo la ripeto: il problema italiano è nell’aver voluto mantenere e anzi ingrandire la parte del welfare che dipende dalle famiglie.
      Mi (ri)spiego in breve: il welfare (non il welfare state) ha tre pilastri: stato, mercato, famiglia. Ma è lo stato che decide, in modo diretto o meno, in modo chiaro o implicito, quanto ognuno di questi tre pilastri conta. In america e UK conta il mercato. Se non lavori, non esisti. La famiglia l’hanno abolita circa 150 anni fa. I britannici non hanno il salotto in casa (o meglio non ce l’avevano). Però ci sono i pub (public houses), i salotti per tutti. No famiglia, sì individuo.
      Nel modello socialdemocratico, lo stato è il più importante dei tre. Tante tasse e tanti servizi pubblici, buoni e gratis.

      Secondo problema: siccome devono farci credere che non c’è trippa per tutti i gatti, ecco che partono i modelli di welfare che escludono, fino a diventare “residuali” (in un dibattito pre-primarie Bersani ha parlato di welfare universalista: evviva!!). Il welfare residuale, cioè che produce servizi solo per chi ne ha veramente veramente bisogno è mal pensato proprio perché può continuamente modificare questo concetto di bisogno (pensioni, sussidi), modificare come questo viene valutato e soprattutto ha come esito il tuo commento, cioè un continuo senso di noi e loro, di voi con i figli e noi senza, di quelli con tre figli piccoli e quelli con i 40enni a casa senza lavoro.
      Queste divisioni sono artificiali e sono determinate dal modello di welfare in cui noi viviamo.
      Vale lo stesso per discussioni furiose a cui ho (e anche tu avrai) assistito tra lavoratori autonomi, lavoratori dipendenti nel settore pubblico che litigano con quelli del settore privato, pensionati contro disoccupati. Anche qui, gioca quella maledetta forma di welfare al quale si accede per status lavorativo.
      Quindi, sono contenta che tutto passi quando i figli ti abbracciano urlicchiando papino, ma che c’entra? I problemi sono a monte, non a valle!

  • […] secondo affluente c’è il famoso marciapiede troppo piccolo per due solo che adesso c’è un piccione rognoso, su una soglia polverosa di […]

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